Lo dice anche la saggezza popolare: “Pasqua con chi vuoi!”. Gli italiani tradizionalmente festeggiano in diversi modi: in famiglia o con gli amici, a casa, al ristorante oppure, tempo permettendo, con pranzi al sacco e organizzando barbecue. Ce ne è davvero per tutti i gusti!
In qualsiasi decidano di trascorrere i giorni di festività, c’è una cosa a cui gli italiani assolutamente non rinunciano: l’attenzione per la qualità del cibo. Secondo un’indagine svolta da Coldiretti-Swg sulle abitudini degli italiani, infatti, nella quasi totalità di casi gli abitanti del Belpaese (97%) vorrebbe che venisse sempre indicato il luogo di origine della componente agricola contenuta negli alimenti che finiscono nel piatto.
Andando proprio in direzione dei desideri espressi dagli italiani, il Parlamento Europeo ha recentemente approvato, seppur in via non ancora definitiva, un provvedimento che rende obbligatorio l’uso di un’etichetta che specifichi l’origine e la provenienza degli alimenti per carne, pollame, latte, prodotti lattiero caseari, ortofrutticoli freschi, tra i prodotti che si compongono di un unico ingrediente (che oltre al prodotto agricolo prevedono solo degli eccipienti come acqua, sale, zucchero) e per quelli trasformati che hanno come ingrediente la carne, il pollame e il pesce. |
Negli ultimi anni, con la mobilitazione a favore della trasparenza dell’informazione, la Coldiretti è riuscita a ottenere l’obbligo di indicare la provenienza per alcuni tipi di alimenti, almeno in Italia.
Provate per esempio a pensare a uno degli alimenti tipici più diffusi sulle nostre tavole nel periodo pasquale: le uova di gallina. La Coldiretti stima che saranno circa 400 milioni le uova ‘ruspanti’ consumate durante questo periodo, impiegate nella preparazione di ricette tradizionali come ‘vovi e sparasi’ in Veneto, torta pasqualina in Liguria, la pastiera in Campania e la scarcedda in Basilicata o in prodotti artigianali e industriali.
Le uova già da tempo sono state dotate di un sistema di etichettatura obbligatorio che consente di distinguere la provenienza e il metodo di allevamento. Su ogni uovo, infatti, è stampato un codice particolare. Il primo numero consente di risalire al tipo di allevamento (0 per biologico, 1 all’aperto, 2 a terra, 3 nelle gabbie), la seconda sigla indica lo Stato in cui è stato deposto (es. It). Già questa codificazione basterebbe al consumatore per farsi un’idea più accurata di ciò che si sta per mettere sotto i denti, ma sul guscio – in più – si trovano stampati indicazioni relative anche al codice Istat del comune, alla sigla della provincia, nonché il codice distintivo dell’allevatore. In aggiunta a queste informazioni viene poi specificata la categoria di appartenenza (A e B a seconda che siano per il consumo umano o per quello industriale) e le diverse classificazioni in base al peso (XL, L, M, S).
L’etichettatura sugli alimenti non solo tutela il consumatore, ma anche per i produttori e il vero Made in Italy. In tempi in
cui, sempre secondo la Coldiretti, sugli scaffali due prosciutti su tre provengono da maiali allevati all’estero senza una adeguata informazione, tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, prevedere l’obbligo di indicare la provenienza degli alimenti sull’etichetta rappresenta una garanzia per tutti.
Ma come fare a controllare quello che arriva sulle nostre tavole, facendo cadere ogni dubbio? Il modo migliore è sicuramente quello di scegliere di portare sulla nostra tavola alimenti a chilometro zero, strizzando così l’occhio anche al portafoglio e all’ambiente!