Nei giorni scorsi abbiamo parlato più volte di quanto si stiano diffondendo gli acquisti di alimenti a Km0 zero e di quanti estimatori eccellenti abbiano.
Più volte abbiamo provato ad illustrare quali sono i vantaggi per l’ambiente e il portafoglio delle persone che questo sistema comporta. Eppure, non lo nascondiamo, se hanno tanti ammiratori, gli acquisti a km0 hanno anche qualche dettrattore.
Per esempio, in un articolo comparso su Il Messaggero del 27 aprile 2011, Antonio Pascale critica l’approccio della filiera corta ritenendolo, sostanzialmente, una forma ostinata di resistenza alla modernità e al progresso.
La sua critica si rivolge non solo contro la coltivazione biologica, colpevole, secondo lui, di limitare il progresso necessario per vincere la povertà e ottenere prodotti a basso costo per tutti, ma soprattutto contro il chilometro zero. Scrive l’autore: “Se abitassi in Valtellina dovrei mangiare solo mele? In Pianura Padana solo parmigiano e prosciutto?”. L’argomentazione polemica alla base dell’articolo è che è assurdo che le tipicità locali non possano percorrere chilometri per raggiungere anche la tavola di chi non è così fortunato da abitare nei posti di produzione.
Inoltre, Pascale si mette dalla parte dei produttori e sostiene che sono loro i primi ad avere interesse a esportare i propri prodotti, perché il ristretto mercato esclusivamente locale non consentirebbe di vendere un quantitativo sufficiente di frutta per resistere sul mercato.