L’olio extra vergine di oliva: benefici per la salute

Contenuto scientifico a cura di Fondazione Umberto Veronesi

L’olio extravergine di oliva

In Italia abbiamo tante “eccellenze” in termini di prodotti. Una di queste è l’olio extravergine di oliva e ciò che distingue la produzione italiana di olio rispetto alle altre parti del mondo, è la grande varietà di cultivar (oltre 530) presente nel nostro paese.

Quando spremiamo la maggior parte dei frutti, come le arance, per esempio, che sono principalmente composte da acqua, zuccheri e micronutrienti otteniamo un succo; nel caso delle olive, essendo frutti a prevalente contenuto di grassi, otteniamo un olio. Da oltre 6000 anni le olive forniscono all’uomo un prodotto utilizzato come alimento, come cosmetico, come medicamento e come combustibile per l’illuminazione. Oggi l’olio d’oliva, in particolare l’extravergine, è sotto i riflettori della scienza, essendo sempre più numerose le evidenze che gli attribuiscono proprietà nutrizionali importanti e addirittura potenzialità preventive e curative.

Perché “extravergine” fa la differenza?

L’olio di oliva extravergine (evo) è per definizione un olio “di categoria superiore, ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici”. Conserva tutte le proprietà delle olive, sia quelle “nutraceutiche” (che fanno dell’alimento non solo un prodotto ad alto valore nutrizionale, ma quasi al pari di un farmaco), sia organolettiche. Quando l‘olio ha dei difetti, o caratteristiche chimiche peggiori rispetto all’extravergine, ma è ancora commestibile, viene definito vergine. Se i difetti sono troppi, l’olio, che non è più commestibile, viene invece definito lampante. Dalla sansa, la polpa e il nocciolo delle olive ottenute dopo la spremitura, può essere estratto dell’olio residuo che, una volta raffinato, diventa commestibile e spesso viene utilizzato nell’industria e in pasticceria. Anche l’olio lampante può essere raffinato (attraverso procedure fisiche e chimiche) e, una volta mischiato con percentuali variabili di l’olio extravergine, messo in commercio, a scopo alimentare, con la nomenclatura “olio di oliva”.

Cosa contiene?

L’olio evo è composto per la maggior parte (circa il 98%) da acidi grassi, in massima parte monoinsaturi, come l’acido oleico, e polinsaturi (come il linoleico e il linolenico) e da una percentuale molto inferiore di saturi. Contiene poi diverse molecole interessanti come lo squalene, idrocarburo che può regolare i meccanismi di sintesi, assorbimento ed eliminazione del colesterolo, i fitosteroli, molecole vegetali dalla struttura chimica simile al colesterolo, che competono con esso limitandone l’assorbimento intestinale e i polifenoli, a cui sono state attribuite proprietà antiinfiammatorie, antiossidanti, immunomodulatrici, antibatteriche, antitumorali e, in generale, protettive nei confronti del sistema cardiovascolare e di quello nervoso. Tra le vitamine, la E (o tocoferolo), è la più presente, importante per le sue proprietà antiossidanti. Altri potenziali antiossidanti presenti nell’olio evo sono i pigmenti come clorofille, i carotenoidi e le feofitine.

Olio extravergine e salute

Il modello dietetico mediterraneo è un ottimo esempio di alimentazione sana e preventiva, oltre che sostenibile. Il termine ‘dieta mediterranea’ è stato coniato dal dottor Ancel Keys all’inizio degli anni ’60 e si basa sulle pratiche culinarie tradizionali e sullo stile di vita di quei tempi, delle aree rurali dell’Italia meridionale, di Creta, di altre parti della Grecia e di altri paesi del Bacino del Mediterraneo. Keys, mediante il Seven Countries Study, il primo importante studio per indagare, nell’arco di un lungo periodo di tempo, la correlazione tra il tipo di dieta e l’insorgenza di malattie cardiovascolari, confermò che l’alimentazione e lo stile di vita sono uno strumento potente per preservare la salute.

Elementi caratteristici della dieta mediterranea sono un elevato consumo di verdura, frutta fresca e a guscio, legumi, pesce e cereali integrali. Inoltre, importante è il basso consumo di carne rossa e carni lavorate e di zuccheri e il consumo moderato di latticini. L’alcol, se consumato, è presente in quantità modeste, principalmente come vino rosso durante i pasti. Molte meta-analisi hanno riassunto i risultati di studi di coorte, che mostrano i benefici di una aderenza alla dieta mediterranea per la prevenzione delle malattie non trasmissibili (in particolare malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e vari tipi di cancro).

Ci sono alcune differenze geografiche nel modello alimentare tradizionale mediterraneo, ma tutte condividono l’uso dell’olio evo come principale grasso in cucina.

Le caratteristiche che fanno dell’olio evo un elemento chiave all’interno di una dieta preventiva, sono la sua composizione in acidi grassi e la presenza di composti fenolici.

Tra gli acidi grassi il più presente è l’acido oleico, che può incidere positivamente sul colesterolo ematico portando ad una piccola riduzione della frazione LDL (quello cattivo), e potrebbe essere coinvolto nel sopprimere l’azione degli oncogeni, i geni responsabili di alcune forme tumorali. In letteratura scientifica, sono documentate anche proprietà protettive del sistema vascolare, ad opera dei composti fenolici, come l’oleuropeina, che inibisce l’aggregazione piastrinica, o l’idrossitirosolo, in grado di eliminare i radicali liberi e le specie reattive dell’ossigeno e dell’azoto, nonché di attivare i sistemi antiossidanti endogeni nel corpo. Agendo in sinergia, acidi grassi buoni e polifenoli, contrasterebbero la formazione delle placche nelle arterie e ridurrebbero lo stato infiammatorio, oltre ad avere potenziali effetti benefici sul metabolismo dei lipidi, con riduzione di trigliceridi, colesterolo totale e colesterolo LDL.  Diversi studi tra cui il PREDIMED (PREvención con DIeta MEDiterránea) hanno mostrato che un maggior consumo di olio extravergine di oliva, è associato ad una riduzione della mortalità per eventi cardiovascolari di circa il 10% per ogni 10 grammi in più di olio evo consumati durante il giorno. Rimane tuttavia la raccomandazione, ovviamente, di non eccedere con le quantità di olio per evitare l’eccesso calorico e di consumarlo a crudo.

Ci sono anche alcune evidenze dell’azione protettiva dell’olio evo nei confronti di alcuni tipi di cancro, in particolare quelli di colon, seno e pelle. L’effetto protettivo sarebbe dovuto sia all’azione antiossidante dei vari composti fenolici, sia alla capacità dell’oleuropeina di ridurre l’angiogenesi ovvero la formazione di nuovi vasi nei tumori. Per quanto riguarda la protezione nei confronti del cancro al seno, oltre all’azione dei polifenoli, sembra che sia coinvolto anche l’acido oleico, che potrebbe contribuire a ridurre i processi di perossidazione lipidica (danno ai lipidi provocato dai radicali liberi), incorporandosi nella membrana delle cellule dei tessuti mammari.

Altri dati scientifici sull’olio evo, ottenuti in vitro e in vivo, da approfondire con maggiori studi sull’uomo, riguardano gli effetti antidiabetici, con riduzione della glicemia, riduzione dell’assorbimento e della digestione dei carboidrati a livello intestinale, modificazione dell’espressione dei geni coinvolti nell’insulino-resistenza, aumento della sensibilità all’insulina e protezione delle cellule pancreatiche dal danno ossidativo.

È stato anche osservato che un buon consumo di olio EVO stimola la produzione degli osteoblasti, le cellule responsabili della formazione di nuovo tessuto osseo, con una azione diretta dei polifenoli su questi tipi cellulari, un promettente indirizzo di ricerca per interventi in adulti ed anziani con problemi legati all’osteoporosi. Diversi studi osservazionali hanno anche associato l’uso di olio evo a un minor indice di massa corporea (un parametro, ottenuto dal peso corporeo in chilogrammi diviso l’altezza in metri al quadrato, per stimare se si è normopeso, sottopeso, sovrappeso, o obesi), indipendentemente dal tipo di dieta.

L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha autorizzato un’indicazione sulla salute (claim), per quanto riguarda la protezione conferita dai composti fenolici dell’olio extravergine di oliva contro l’ossidazione delle lipoproteine ad alta densità, o LDL. I produttori di olio evo possono aggiungere questo claim se il loro olio contiene almeno 5 mg di idrossitirosolo e dei suoi derivati ogni 20 gr di prodotto.

Ancora molto c’è da confermare e chiarire sugli effetti dell’olio evo nei confronti di diverse patologie. Linee di ricerca in vitro e in vivo hanno ottenuto risultati interessanti sulle ipotesi di beneficio anche nell’artrite reumatoide, nella sclerosi multipla, nella SLA, nel Lupus e nelle malattie infiammatorie intestinali (IBD).

Come faccio a sapere se l’olio evo che compro è “quello buono”?

L’olio è una categoria alimentare soggetta a numerose frodi e irregolarità (deodorazione, miscelazione con oli di semi, colorazione, falsificazione dell’origine) motivo per cui i controlli sono molto più frequenti rispetto ad altri prodotti ed il grado di sicurezza è quindi elevato. In Italia dove l’olivicoltura è principalmente tradizionale, con piccoli frantoi e magari a conduzione famigliare, l’extravergine ha un prezzo medio al litro intorno ai 10 euro. Questo prezzo può anche aumentare molto in base alla varietà delle olive, all’attenzione e alla difficoltà di lavorazione e di manodopera. Non sempre, tuttavia, un prezzo elevato è indice di buona qualità, così come non è detto che se è inferiore ai 10 euro debba essere per forza scadente. L’ideale è informarsi sul produttore, magari visitare la sede di produzione e fornirsi direttamente da esso, o fare affidamento su distributori che selezionino a monte prodotti di qualità.

L’olio extravergine di oliva è un alimento dalle molte potenzialità benefiche, da utilizzare quotidianamente nella giusta misura (in media da due a quattro cucchiai al giorno ma dipende dalle caratteristiche personali), prevalentemente a crudo, per arricchire i nostri piatti di sapore, oltre che di nutrienti. Vale la pena non fare economia su questo prodotto, a discapito della qualità, considerandolo, associato ad un’alimentazione di tipo mediterraneo e ad una vita attiva, un investimento a lungo termine per la nostra salute.

I cibi fermentati: cosa sono e perché fanno bene

Pane: un esempio di un cibo fermentato!

Contenuto scientifico a cura di Fondazione Umberto Veronesi

I cibi fermentati

Avete sentito parlare degli alimenti fermentati? Da qualche tempo sono oggetto di interesse per la scienza della nutrizione, in ragione delle loro proprietà e dei loro effetti sulla nostra salute. Cerchiamo insieme di conoscerli meglio.

Cos’è la fermentazione?

La fermentazione è un processo con cui alcuni microrganismi (batteri, lieviti e funghi) ricavano energia dagli zuccheri senza utilizzare ossigeno e producendo una serie di metaboliti.

Il processo di fermentazione degli alimenti viene utilizzato da secoli, secondo conoscenze tramandate di generazione in generazione. In passato vi si ricorreva per conservare meglio i cibi o per cambiarne il sapore, senza alcuna comprensione del ruolo potenziale dei microrganismi coinvolti nel processo. Oggi invece la rivoluzione scientifica e tecnologica ha trasformato la fermentazione da un processo domestico a uno controllato, adatto a sistemi di produzione su scala industriale.

Ancora oggi nel mondo possiamo osservare cibi fermentati autoctoni, prodotti nelle aree rurali e tribali, utilizzando la conoscenza e le materie prime locali, che coesistono con produzioni industriali destinati al mercato di massa. A livello globale vengono prodotti migliaia di cibi e bevande fermentati diversi, utilizzando un’ampia gamma di materie prime, microrganismi e tecniche di produzione differenti.

I diversi fermentati e i loro potenziali vantaggi sulla salute umana

La ricerca scientifica ci ha fatto comprendere che il processo di fermentazione degli alimenti può portare alla produzione di molecole con attività benefica per la salute.

Ecco i principali alimenti fermentati che è bene conoscere.

Latti fermentati

Yogurt e kefir, ad esempio, si ottengono dal latte di varie specie (bovini, ovini, caprini…) con l’aggiunta di un mix di microrganismi, tra cui i bifidobatteri, i lieviti e i lattobacilli. Questi ultimi comprendono diversi membri dei generi Lactobacillus, Lactococcus, Streptococcus, Leuconostoc e Pediococcus, determinanti nel fornire al latte fermentato sapore, consistenza e valore nutritivo peculiari.

Perché fanno bene?

Le colture microbiche di fermentazione (starter) sono importanti anche per la formazione di componenti bioattivi, che conferiscono agli alimenti un potenziale antiossidante, antiipertensivo, antidiabetico e antiallergico.

L’attività antiossidante.

Alcune molecole contenute nei cibi esercitano un’azione protettiva contro il danno ossidativo, coinvolto nell’insorgenza della maggior parte delle malattie croniche legate all’età e all’alimentazione. Fra gli antiossidanti assunti con l’alimentazione vi sono tocoferoli, vitamina C, composti fenolici e carotenoidi. I cibi fermentati sono fonti naturali di antiossidanti.

Il potere antiossidante dei latti fermentati

Fattori come il tipo di latte (bovino, caprino ecc..), il contenuto di grassi e i ceppi di microrganismi di fermentazione, possono influenzare l’attività antiossidante dei latti fermentati.

Ad esempio, nello yogurt senza grassi è maggiore rispetto agli yogurt interi e parzialmente scremati.

Il kefir è una bevanda a base di latte fermentato, preparata inoculando latte di mucca, capra o pecora con grani di kefir, una combinazione di lattobacilli e lieviti in una matrice di proteine, lipidi e zuccheri. Il kefir prodotto con latte di pecora sembra avere livelli di antiossidanti più elevati rispetto a quelli del latte vaccino.

Un aiuto contro l’ipertensione

Studi scientifici hanno dimostrato che i latti fermentati possono avere un effetto di abbassamento della pressione sanguigna. In seguito alla fermentazione si formerebbero infatti delle molecole in grado di inibire l’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), una proteina del sangue implicata nella regolazione della pressione sanguigna.

Più vitamine

La fermentazione inoltre consente l’aumento del contenuto di alcune vitamine negli alimenti, come i folati (vitamina B9), ad esempio. Alcune specie Lattobacilli e Bifidobatteri sono infatti grado di produrre folati nel latte fermentato.

Inoltre, i latticini sono un’importante fonte di vitamina B12, necessaria per il mantenimento del sistema nervoso e per la formazione dei globuli rossi. La fermentazione può aumentarne il contenuto fino a 10 volte.

Digerire meglio

Durante la fermentazione i microrganismi possono iniziare a scomporre le proteine dell’alimento, rendendole più digeribili. Analogamente, degradando il lattosio, lo zucchero presente nei latticini, permettono agli intolleranti di consumare questi alimenti con pochi o nessun sintomo.

I probiotici

I benefici per la salute degli alimenti fermentati possono essere dovuti anche alla loro attività probiotica. Il latte fermentato e lo yogurt infatti forniscono batteri vivi benefici, fra cui Lactobacillus spp. e S. thermophilus.

Latte ma non solo: altri alimenti fermentati

I cereali sono una delle fonti più importanti di carboidrati, proteine, fibre alimentari, vitamine e minerali. La fermentazione può migliorarne di molto le proprietà nutritive.

Prendiamo il pane, ad esempio: Colture miste di lieviti (soprattutto le specie Saccharomyces), batteri (lattobacilli fermentanti come Leuconostoc, Lactobacillus, Streptococcus, Pediococcus, Micrococcus e Bacillus) e funghi (Aspergillus, Paecilomyces, Cladosporium, Fusarium, Penicillium e Trichothecium) possono partecipare alla sua fermentazione.

Anche nel caso dei cereali, la fermentazione aumenta l’attività antiossidante degli alimentimigliora la bioaccessibilità e biodisponibilità dei composti fenolicie dei minerali.

Indirettamente, la fermentazione del lievito naturale ha un impatto favorevole anche sulla pressione sanguigna, poiché conferisce sapidità al pane e permette di utilizzare meno sale.
Un effetto positivo analogo si ottiene anche sull’indice glicemico dei prodotti da forno, che con la fermentazione del lievito naturale si riduce, e sull’arricchimento della vitamina B12 (solitamente presente esclusivamente nei prodotti di origine animale) negli alimenti a base vegetale. Un esempio? Il tempeh, tradizionale prodotto indonesiano fermentato con funghi, solitamente a base di soia, che è di particolare interesse per i vegani in quanto contiene una discreta quantità di vitamina B12.

Anche la fermentazione dei legumi può migliorare la digeribilità delle loro proteine, riducendo i livelli di antinutrienti e producendo enzimi che le degradano parzialmente.

La combinazione di germinazione e fermentazione migliora ulteriormente digeribilità e biodisponibilità delle proteine.

La fermentazione ha anche un ruolo cruciale per la riduzione dei FODMAP, che comprendono oligosaccaridi (fruttani e galattani), disaccaridi (lattosio), monosaccaridi (fruttosio) e polioli (sorbitolo e mannitolo). Queste piccole molecole di zuccheri, che possiamo trovare in diversi alimenti di origine vegetale e come dolcificanti in prodotti industriali, sono scarsamente assorbite nell’intestino tenue e vengono quindi rapidamente fermentate dai batteri nell’intestino crasso.
L’ingestione di FODMAP induce solitamente sintomi addominali molto fastidiosi nelle persone che soffrono di sindrome dell’intestino irritabile (IBS).

Frutta e verdura sono alimenti fermentabili, sebbene la tradizione della fermentazione di prodotti ortofrutticoli sia più diffusa nelle culture asiatiche che in quelle occidentali. I prodotti che più conosciamo in Italia sono i cetriolini, i crauti, il tempeh e forse molti conosceranno anche le prugne umeboshi, in vendita, dalla distribuzione di prodotti salutistici, come insaporitori. Rispetto alla frutta e alla verdura fresche, i prodotti fermentati hanno caratteristiche nutrizionali diverse dovute all’attività di enzimi e microrganismi presenti durante il processo di fermentazione.

Gli alimenti fermentati a base vegetale possono essere fonti alternative di probiotici e vitamine del gruppo B, senza colesterolo e senza lattosio, adatti a tutti e utili in particolare per i vegani.


Un focus particolare sul microbiota

Gli alimenti fermentati possono anche avere un’attività probiotica, quindi forniscono all’intestino batteri e sottoprodotti (post-biotici), che possono migliorare la funzione immunitaria, la digestione e l’assimilazione dei nutrienti.

A sua volta, un microbiota intestinale sano produrrà più acidi grassi a catena corta, come butirrato, propionato e acetato, che hanno un effetto ipocolesterolemizzante. Un numero crescente di ricerche recenti, ha scoperto che la salute dell’intestino può avere un legame diretto anche con la salute del cervello, andando a delineare sempre di più il concetto di asse intestino-cervello, secondo cui vi sarebbe un effetto modulatorio del microbiota intestinale sul cervello e sul sistema nervoso centrale. Ciò può essere dovuto al fatto che il microbiota intestinale è responsabile della produzione di un’ampia gamma di neurotrasmettitori, che svolgono un ruolo nella salute mentale, tra cui dopamina, serotonina e norepinefrina. L’assunzione di cibi fermentati e probiotici e il conseguente potenziamento del microbiota intestinale si sono infatti dimostrati utili nella riduzione dei sintomi di depressione e ansia.

Inoltre sembrerebbe che l’introduzione precoce di cibi fermentati, nella dieta della madre in gravidanza e nel bambino, diminuisca il desiderio dei bambini di consumare troppi cibi dolci. La preferenza per lo zucchero può essere legata, infatti, ai batteri nell’intestino ed i primi mille giorni dal concepimento sono cruciali per lo sviluppo del microbiota.


L’importanza della ricerca scientifica per linee guida attendibili

Oggi le linee guida dietetiche di tutto il mondo condividono le raccomandazioni di un consumo regolare e abbondante di frutta e verdura, una preferenza per i grassi insaturi (più fonti vegetali, meno animali) e un apporto giornaliero di sale inferiore a 5 g. Tuttavia, le linee guida nazionali sono specifiche per ciascun paese e popolazione. Sono correlate alla disponibilità di prodotti alimentari nel paese specifico e influenzate dalle caratteristiche dietetiche e culturali nazionali.

Alcuni paesi del mondo, come Kenya, Sud Africa, Australia, India, Sri Lanka, Oman, Qatar e Bulgaria, hanno incluso la raccomandazione di consumo di alimenti fermentati nelle loro linee guida dietetiche nazionali. In questi paesi sono disponibili anche cibi fermentati autoctoni e tradizionali che rappresentano un elemento radicato della cultura nazionale. Per l’Italia vi è un riferimento particolare allo yogurt.

I cibi fermentati sono molto interessanti per l’alimentazione umana ed andrebbero introdotti come parte integrante di uno stile alimentare vario e salutare, tuttavia c’è ancora bisogno di tanta ricerca scientifica, con studi clinici randomizzati e controllati, per spiegare e misurare gli effetti degli alimenti fermentati nei diversi gruppi di popolazioni e giustificare, con solide argomentazioni, la loro inclusione nelle linee guida alimentari nazionali.