Sono tornati i vini de La Costa e ne siamo felici! Siamo felici, ancora una volta, di potervi raccontare di questo inusuale e spettacolare territorio alle porte di Milano. Siamo in Brianza, quella dipinta per la produttività delle sue industrie e per il paesaggio non solito alle rappresentazioni da cartolina. Ma la Brianza non è tutta così. Claudia, Clara con i genitori Mirna e Giordano ne sanno qualcosa. Insieme, armati di entusiasmo, sorriso, voglia di mettersi in gioco, visionarietà hanno accolto la sfida di rilanciare l’immagine di questo territorio, in particolare delle fascinose colline di Montevecchia. Il loro progetto agricolo è stato da stimolo per la nascita di tanti altri ed è così che il territorio si è animato e si sta animando di nuove aziende agricole di qualità. La Costa, oltre a essere un bellissimo agriturismo, è il riferimento per una produzione di vini essenziale e di ottima stoffa enologica, avvalorata da una conduzione agronomica biologica.
Abbiamo scelto le due etichette che al meglio posso aiutare a entrare nello spirito leggero e leggiadro del distretto delle Terre Lariane.
Il Brigante Rosso è un inno alla bevibilità. Un vino succoso e piacevole, dalla giusta gradazione realizzato a partire da uve merlot.
Il Brigante Bianco è la fusione riuscita dei vitigni chardonnay, traminer, Manzoni bianco e verdese: rappresenta al meglio l’anima del territorio.
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Più locale di così!
Forse vi sarete accorti o forse no, ma fateci caso: il termine tanto amato, da tutti decantato del Km0 sembra sparito. O meglio, sembra aver perso la sua brillante e autorevole visibilità che fino a poco fa abbagliava contadini, agricoltori, commercianti e ovviamente i consumatori. E dove se ne andato?
Avrà mica lasciato spazio a un po’ più di concretezza e realtà? Forse sì e forse – diciamolo in coro – speriamo! Perché è di questo di cui ha tanto bisogno il mondo dell’agricoltura locale.
Come già discusso a tal proposito, il Km0 è una nobile causa che è servita ad accendere dibattiti, interessi trasversali e un’acuta sensibilità del consumatore attorno alle produzioni locali e al territorio. Ma il territorio, qualsiasi esso sia – specialmente quello attorno a Milano – non è e non può essere una babele infinita di frutta e verdura di ogni sorta 12 mesi all’anno. Riconoscere e convivere con serenità, accettando i limiti strutturali, climatici, colturali e culturali che nostri territori hanno, è doveroso e importante: è un modo concreto di evitare le illusioni, di superare lo slogan del Km0 innalzato all’ingresso di un mercato, di vendere e acquistare frutta e verdura per quello che è veramente.
Eppure, in tutto questo, non dimentichiamoci che viviamo in un territorio meraviglioso, ricco di aziende agricole che quando sono nel pieno della produzione, vanno valorizzate e apprezzate. Facciamo quindi pace con il termine Km0 perché, quando c’è, è giusto farne un buon uso e valorizzarlo.
Oggi abbiamo scelto di raccontarvi una di queste esperienze, in assoluto la più inusuale e inaspettata, in controtendenza… a prova del fatto che il mondo dell’agricoltura locale è fatto anche di sfide, compromessi, sorprese, ecco a voi un caso davvero curioso. Parliamo dell’azienda il Frutteto del Parco, un vero e proprio caso di Km0 riuscito applicato al mondo della frutta, in particolare a quello delle mele. Ed è proprio attorno al frutto più coltivato al mondo, solitamente NON coltivata attorno a Milano, che l’azienda ha realizzato un progetto di produzione strutturato e credibile. Parliamo di un grande frutteto di oltre 20 ettari che per visitare è sufficiente dirigersi in direzione nord di Milano, precisamente a Ceriano Laghetto, all’interno del Parco delle Groane. E’ qui che un gruppo di amici di origine trentina ha deciso di creare il primo grande meleto in terra meneghina. Il risultato consiste in uno straordinario susseguirsi di filari in cui si alternano differenti varietà di mele. Al loro fianco, non mancano le pere e da quest’anno le ciliegie e i piccoli frutti.
Consigli per un’insalata sempre fresca
Al bando foglie avvizzite, ceppi ammuffiti o fronde che camminano. La bontà di un’insalata e di tutta la verdura a foglia è fortemente correlata alla loro freschezza. Ma non potendo sempre godere della gioia di “mangiare” l’insalata appena colta direttamente dal campo, ecco qualche suggerimento domestico per poter preservare al meglio le virtù estetiche e gustative delle nostre amiche chiomate.
Anzitutto occorre tenere conto che la verdura a foglia che arriva dagli agricoltori di Cortilia è freschissima, raccolta al massimo 24 ore prima della consegna al cliente. Dopo essere stata privata della terra e delle impurità più grossolane con acqua, viene conservata in cella frigo, quindi imbustata nei fatidici sacchetti di carta. Durante la consegna a casa, rimane all’interno dei box Cortilia sempre a temperature da frigo.
Ecco quindi che una volta giunta a casa, qualora non si voglia approfittare della freschezza per mangiarsela subito, occorre qualche piccola accortezza per mantenere vitalità e vivacità delle foglie.
Cosa fare?
E’ sufficiente estrarre l’insalata dal sacchetto di carta che, per effetto delle basse temperature e del “respiro” (ricordiamoci sempre che è un prodotto vivo!!!), può risultare inumidito. A questo punto sciacquiamola sotto l’acqua fresca per darle un’ondata di giovinezza, quindi tamponiamola con delicatezza su un panno da cucina pulito o in alternativa con della carta assorbente. Non serve altro che riporla in frigorifero, possibilmente nel ripiano più basso, adagiata in una ciotola di vetro o di ceramica protetta dalla stessa carta assorbente. Con questo, sarà possibile poter mantenere l’insalata per più giorni in frigo, senza la fretta di mangiarla subito.
News dalla campagna: le api e il miele
Nel visitare le aziende agricole del nostro territorio, si inizia a respirare aria di primavera. E’ in questo periodo, infatti, che tra i campi ancora incolti pronti ad accogliere le prime semine, rivestiti ancora dalle ultime gelate – si annidano le meravigliose e colorate arnie, le cosiddette “casette delle api”.
Febbraio è il mese in cui questi straordinari insetti, custodi indiscussi della biodiversità nonché metafora della vita, ricominciano il loro ciclo, escono e si rallegrano poco a poco in cerca dei primi spiragli di primavera. Ovviamente è il periodo in cui non si devono sottovalutare le ricadute meteorologiche, quindi attenzione al freddo!!! In questo mese fioriscono mandorlo, il rosmarino, il tarassaco, la rapa, i cavoli e la colza.
Occorre ricordare che le api sono degli insetti bioindicatori, quindi assolutamente sensibili ai livelli di inquinamento e all’esposizione a pesticidi e prodotti chimici. Non è un caso averle viste svolazzare tra i campi dell’azienda di Alberto Cassani, in quel di Corbetta (MI). Alberto, fautore dell’orticoltura biologica e biodinamica, destina ogni anno una parte dei propri terreni incolti, prossimi alle file di insalate, fragole, alberi da frutto, zucchine e tanto altro, ad una cinquantina di arnie di amici apicoltori locali.
Non ci resta che aspettare le prime fioriture e seguire il lavoro delle nostre api.
Intanto è possibile rallegrarci con un’altra eccellenza prodotta da Cascina Cortenuova, azienda biologica di Trucazzano. Scopri qui…
Il Km0… un concetto superato?!
Evviva il cibo locale. Evviva le nostre campagne e le centinaia di agricoltori e artigiani che ogni giorno lavorano e valorizzano il nostro territorio. Evviva il cavolo appena raccolto e che in poche ore giunge nel nostro piatto.
Sono tante, forse infinite, le parole che accompagnano il cibo dei nostri giorni. Tra queste il fatidico e abusato concetto del Km0. Un termine tanto ricco di simbologia, quanto vuoto di contenuto e concretezza. Vediamo perché.
Km0 è un slogan che risale ad alcuni anni fa quando si è imposto nel vocabolario alimentare con ambizione e coraggio, con l’idea di diffondere una cultura alimentare e di approvvigionamento del cibo che ponesse attenzione all’origine e alla prossimità. Una nobile causa – così possiamo definirla – che è servita ad accendere dibattiti, interessi trasversali e un’acuta sensibilità del consumatore attorno alle produzioni locali e al territorio. In pochi anni il Km0 è entrato nella bocca di tutti – istituzioni, cittadini, contadini, produttori, artigiani, commercianti e persino nei supermercati -, sostenuto dalla sua stessa ambiguità e attrattiva illusoria.
Da semplice sirena, il Km0 è sprofondato senza controllo nel mondo del consumo e della fruizione del cibo, al punto da diventare un’etichetta, un sigillo distintivo (non regolato!) in fase di acquisto.
Sotto al cappello del Km0 si sono innalzati migliaia di iniziative di vendita diretta, sotto forma di mercati rionali, ambulantati, fiere e tanto altro. Tutti progetti di grande valore se si pensa all’impatto positivo per i bilanci delle aziende agricole locali, ma che non possono alimentare il proprio successo sulla base di abbagli commerciali, se non addirittura raggiri.
Per fare un esempio, un mercato che fonda la propria identità e attrattiva sul Km0, situato a Milano nella prima settimana di dicembre, dovrebbe esporre una gamma di prodotti orticoli limitata a cavoli, gli ultimi finocchi, zucche, porri, qualche insalatina invernale e poco altro. Come si giustifica, invece, la presenza dei meravigliosi carciofi, delle immancabili e destagionalizzate carote, cardi, sedano, ecc? Per non parlare della frutta: tralasciando gli agrumi che sono palesemente provenienti dal Sud, che ne è di mele, pere e kiwi?
Non varrebbe la pena andare oltre al mero slogan del Km0 e valorizzare le aziende agricole locali anche per quello che sono e per quello che offrono realmente? Anziché mascherare sotto all’ombra dell’ambiguità chilometrica un prodotto che non può (ed è bene che non lo sia) locale e di produzione aziendale, non è più efficace e strategico puntare sulla trasparenza? Ad esempio esponendo le origini chiare e precise di tutti i prodotti (oltre agli obblighi di legge: la normativa impone l’obbligo di dichiarare l’origine espressa come “paese di provenienza” es. Italia). Perché illudere e disinformare facendo credere che sia tutto locale quando non lo è?
Andare oltre al Km0 diventa un compito diffuso e necessario per fare chiarezza e diffondere una cultura alimentare che valorizzi l’autenticità dei nostri agricoltori, che premi le nostre campagne per quello che sono, a partire dal convivere con serenità nell’accettare i limiti strutturali, climatici, colturali e culturali che hanno. Scopriremo, ad esempio, che una mela nel Parco Sud di Milano (salvo in qualche raro e sporadico orto domestico) non ha senso cercarla, perché le peculiarità e le potenzialità agricole di questo straordinario territorio sono altre (riso, cereali, alcune orticole, allevamento). In compenso esiste – a non meno di 300 km dalla città – una comunità straordinaria di famiglie di agricoltori e cooperative che tra la Valtellina, il Trentino, l’Alto Adige porta avanti una cultura melicola che dà origine a mele decisamente migliori sotto ogni punto di vista.
Senza scadere nei soliti dibattiti retorici – ad esempio meglio un pomodoro Km0 coltivato artificialmente in idroponica in serre riscaldate a dicembre o un pomodoro siciliano biologico raccolto nel pieno della maturazione in una zona fortemente vocata? – impegniamoci a conoscere il nostro territorio e i nostri agricoltori.