I tenerumi…. una simpatica novità dalle nostre campagne

L’agricoltura è prima di tutto contaminazione di idee, culture, intrecci di storie e tradizioni, lontane o vicine, alcune radicate ormai da secoli – si pensi all’ingresso in Europa del pomodoro o della patate nel Cinquecento, altre più recenti.

In questi tempi, la tradizione agricola che – a detta di tutti è un’innovazione ben riuscita – passa attraverso non solo il recupero di prodotti antichi appartenenti al territorio, ma anche per la scoperta e l’inventiva degli agricoltori di voler scoprire cose vuole, esperienze di ruralità curiose e mai banali. E’ da questa iniziativa che è nata l’idea dei Fratelli Scotti, in quel di Mediglia, alle porte di Milano, di coltivare alcuni ortaggi nuovi, o meglio, nuovi in rapporto alla tradizione orticola meneghina.

Un esempio su tutti, già testato e forse da alcuni assaggiato già lo scorso anno, è rappresentato dai Tenerumi, un’originale verdura a foglia.

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Non ne avete mai sentito parlare? Ecco un buon motivo per provate questa squisita icona della cultura orticola siciliana.  Si tratta delle foglie tenere della pianta delle zucchine, più precisamente della zucchina “serpente”, lunga e stretta. Le foglie si sbollentano in acqua e si usano come fossero spinaci. Ottimi soffritti con pomodoro e cipolla come sugo per la pasta.

Falafel facili di quinoa

I falafel sono delle polpettine vegetali che di solito vengono preparate partendo dai ceci crudi, conditi e fritte…

In questo caso abbiamo pensato di rivisitarle preparandole con della quinoa, il seme degli dei secondo gli antichi, e arricchendole con erbette oppure, se preferite, gli spinaci. La cottura al forno le rende saporite e croccanti, e perfette da gustare così con un’insalatina mista, o nella classica pita condita con salsa allo yogurt…e fantasia.

Falafel di quinoa e spinaci-4RIngredienti per 4 persone:
1 bicchiere di quinoa
2 bicchieri di acqua
300 g di erbette o spinaci
circa 60 g di farina di ceci
1 cipolotto
6 cucchiai  di olio extravergine d’oliva
sale e pepe

Cominciate lessando la quinoa nei due bicchieri di acqua: cuocetela fino a che sarà ben gonfia e morbida, poi lasciatela freddare. Pulite le erbette, lavatele con cura e fatele appassire in un tegame senza aggiungere acqua, solo con un coperchio.

Quando saranno morbide strizzatele a lungo, poi rosolatele in una pentolina con 2 cucchiai di olio e il cipollotto tagliato a pezzi molto piccini.

Falafel di quinoa e spinaci 1RUnite la verdura alla quinoa, aggiungete anche la farina di ceci,che in cottura assorbirà l’acqua in eccesso, e impastate tutto, fino ad avere un impasto morbido e malleabile, come quello delle classiche polpette. Aggiusutate di sale e di pepe.

Falafel di quinoa e spinaci-2R Formate tante piccole polpettine appiattite, sistematele su una placca da forno e irroratele con l’olio rimasto. Cuocete in forno caldo a 180° per circa 20 minuti, accendendo il grill negli ultimi 5 minuti di cottura. Girate le polpette e lasciatele sotto al grill per un altro paio di minuti.
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Gnudi di erbette

Gli gnudi di erbette non sono altro che semplicissimi e grandi gnocchi preparati con ricotta e verdura, che vengono poi lessati e conditi con burro fuso e parmigiano, o con un sugo leggero di pomodoro. In questo caso abbiamo preferito strizzare l’occhio alla praticità, e così abbiamo pensato di proporre una ricetta che richiedesse un rapido passaggio di gratinatura in forno, in moda da poterla preparare con anticipo.

Gnudi RIngredienti per 4 persone:

Per gli gnudi
300 g di ricotta fresca ben scolata
250 g di erbette mondate e lessate
80 g di parmigiano
80 g di farina 00
sale

Per la salsa di pomodoro:
400 ml di passata
un cipollotto
3 cucchiai di olio evo
basilico
sale

Preparate la salsa al pomodoro: mettete la cipollina tagliata a cubetti a rosolare nell’olio, poi unite il pomodoro, il sale e il basilico e cuocete fino ad avere un sugo ben ristretto.

Preparate gli gnudi: mescolate le erbette lessate, tagliuzzate e scolate benissimo con la ricotta. Unite il parmigiano e circa 60 g di farina, fino ad ottenere un composto omogeneo e cremoso. Aiutandovi con due cucchiai formate delle quenelle che appoggerete su un piano infarinato.

Gnudi 1RPortate ad ebollizione una pentola d’acqua, salatela e cuocete gli gnudi pochi alla volta, ripescandoli con una schiumarola quando verranno a galla. Cominciate con uno, e curate che non si disfaccia in acqua. Se così fosse unite all’impasto un altro cucchiaio di farina.

Gnudi 2RScolate tutti gli gnudi, rivestite una teglia con il pomodoro e posateci sopra gli gnocchi. Passateli in forno caldo per pochi istanti a gratinare e servite.

Sorrisi alle erbette e patate

La primavera comincia a regalarci le sue erbe più verdi e fresche, e lo fa con abbondanza. A noi il compito arduo di trovare sempre una soluzione nuova per portarle in tavola .

Queste piccole piadine all’olio d’oliva fatte con farina integrale e ripiene di erbette e patate sono un buon piatto vegetariano per fare il pieno di verdure senza rinunciare al gusto!

Se volete potete arricchirle anche con altri formaggi, o dare all’impasto un gusto in più aromatizzandolo con curcuma o erbe aromatiche a vostro gusto.

sorrisi RIngredienti per 4 sorrisi:
600 g di erbette crude da mondare
400 g di patate
50 g di parmigiano grattugiato
300 g di farina integrale
150 ml di acqua
40 ml di olio evo
un pizzico di sale

Cominciate con il lessare le patate fino a che saranno morbide. Cuocete in una pentola senza aggiungere acqua anche le erbette che avrete mondato, fino a che saranno appassite e avranno perso parte della loro acqua.
Mescolate tra loro le patate con le erbette, aggiustate di sale, unite il parmigiano e lasciate intiepidire.

sorrisi 1RIntanto impastate la farina con l’olio, il sale e acqua sufficiente ad avere un impasto morbido ma non troppo. Lavoratelo a lungo, formate 4 palline e lasciate riposare coperte per 10 minuti.

sorrisi 2RStendete le palline in un disco, riempitele per metà con le verdure, chiudete a semicerchio e sigillate bene i bordi con una forchetta.

sorrisi 3RCuocete l’impasto su una piastra ben calda, senza alzare troppo la fiamma del gas per far si che possa cuocere all’interno l’impasto senza bruciare. Servite anche tiepidi.

Il Km0… un concetto superato?!

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Evviva il cibo locale. Evviva le nostre campagne e le centinaia di agricoltori e artigiani che ogni giorno lavorano e valorizzano il nostro territorio. Evviva il cavolo appena raccolto e che in poche ore giunge nel nostro piatto.

Sono tante, forse infinite, le parole che accompagnano il cibo dei nostri giorni. Tra queste il fatidico e abusato concetto del Km0. Un termine tanto ricco di simbologia, quanto vuoto di contenuto e concretezza. Vediamo perché.

Km0 è un slogan che risale ad alcuni anni fa quando si è imposto nel vocabolario alimentare con ambizione e coraggio, con l’idea di diffondere una cultura alimentare e di approvvigionamento del cibo che ponesse attenzione all’origine e alla prossimità. Una nobile causa – così possiamo definirla – che è servita ad accendere dibattiti, interessi trasversali e un’acuta sensibilità del consumatore attorno alle produzioni locali e al territorio. In pochi anni il Km0 è entrato nella bocca di tutti – istituzioni, cittadini, contadini, produttori, artigiani, commercianti e persino nei supermercati -, sostenuto dalla sua stessa ambiguità e attrattiva illusoria.

Da semplice sirena, il Km0 è sprofondato senza controllo nel mondo del consumo e della fruizione del cibo, al punto da diventare un’etichetta, un sigillo distintivo (non regolato!) in fase di acquisto.

Sotto al cappello del Km0 si sono innalzati migliaia di iniziative di vendita diretta, sotto forma di mercati rionali, ambulantati, fiere e tanto altro. Tutti progetti di grande valore se si pensa all’impatto positivo per i bilanci delle aziende agricole locali, ma che non possono alimentare il proprio successo sulla base di abbagli commerciali, se non addirittura raggiri.

Per fare un esempio, un mercato che fonda la propria identità e attrattiva sul Km0, situato a Milano nella prima settimana di dicembre, dovrebbe esporre una gamma di prodotti orticoli limitata a cavoli, gli ultimi finocchi, zucche, porri, qualche insalatina invernale e poco altro. Come si giustifica, invece, la presenza dei meravigliosi carciofi, delle immancabili e destagionalizzate carote, cardi, sedano, ecc? Per non parlare della frutta: tralasciando gli agrumi che sono palesemente provenienti dal Sud, che ne è di mele, pere e kiwi?

Non varrebbe la pena andare oltre al mero slogan del Km0 e valorizzare le aziende agricole locali anche per quello che sono e per quello che offrono realmente? Anziché mascherare sotto all’ombra dell’ambiguità chilometrica un prodotto che non può (ed è bene che non lo sia) locale e di produzione aziendale, non è più efficace e strategico puntare sulla trasparenza? Ad esempio esponendo le origini chiare e precise di tutti i prodotti (oltre agli obblighi di legge: la normativa impone l’obbligo di dichiarare l’origine espressa come “paese di provenienza” es. Italia). Perché illudere e disinformare facendo credere che sia tutto locale quando non lo è?

Andare oltre al Km0 diventa un compito diffuso e necessario per fare chiarezza e diffondere una cultura alimentare che valorizzi l’autenticità dei nostri agricoltori, che premi le nostre campagne per quello che sono, a partire dal convivere con serenità nell’accettare i limiti strutturali, climatici, colturali e culturali che hanno. Scopriremo, ad esempio, che una mela nel Parco Sud di Milano (salvo in qualche raro e sporadico orto domestico) non ha senso cercarla, perché le peculiarità e le potenzialità agricole di questo straordinario territorio sono altre (riso, cereali, alcune orticole, allevamento). In compenso esiste – a non meno di 300 km dalla città – una comunità straordinaria di famiglie di agricoltori e cooperative che tra la Valtellina, il Trentino, l’Alto Adige porta avanti una cultura melicola che dà origine a mele decisamente migliori sotto ogni punto di vista.

Senza scadere nei soliti dibattiti retorici – ad esempio meglio un pomodoro Km0 coltivato artificialmente in idroponica in serre riscaldate a dicembre o un pomodoro siciliano biologico raccolto nel pieno della maturazione in una zona fortemente vocata? – impegniamoci a conoscere il nostro territorio e i nostri agricoltori.